Il tentativo di modificare l’obbligo POS ha riaperto il dibattito sull’uso della moneta elettronica e dei contanti. Mentre l’opinione pubblica si è scatenata sui social, diverse istituzioni nazionali ed europee hanno espresso il loro parere ufficiale sulla proposta di modifica del Governo Meloni.
Nel presente articolo ricapitoliamo regole e sanzioni vigenti sul POS obbligatorio 2023, scopriamo se il commerciante può rifiutare una transazione elettronica, cosa si rischia e quali sono le migliori offerte alternative per piccole imprese e professionisti che ricevono pochi pagamenti con carta.
POS obbligatorio 2023: sono cambiate le regole?
Sebbene il tema abbia destato l’attenzione dei cittadini solo da qualche anno, in Italia il POS è obbligatorio dal 2012, cioè dall’epoca del Governo Monti entrato in scena in piena crisi economica e politica. Forse non è un caso che lo stesso tema sia tornato in auge nel corso dell’emergenza sanitaria e delle sue conseguenze sull’economia del paese.
Nulla è cambiato nel 2023, anno in cui il Governo ha prima proposto e poi rinunciato alla rimozione dell’obbligo di accettare pagamenti elettronici (con carta) al di sotto di una determinata soglia. In altre parole, il POS è tuttora obbligatorio su qualsiasi importo.
L’obbligo vale anche sui cosiddetti micropagamenti, vale a dire transazioni al di sotto di 5 euro. Se il cliente vuole pagare un caffè con carta, l’esercente non può rifiutare. A tal proposito urge poi ricordare che la legge non consente di applicare maggiorazioni di prezzo sul pagamento elettronico.
Nel 2023 sono previste sanzioni per l’obbligo POS?
Sì.
Chi rifiuta pagamenti con carta rischia una sanzione per ogni transazione rifiutata.
La multa è costituita da una parte fissa ed una variabile in funzione dell’importo della transazione:
30 € + 4 %
Il cliente che vede rifiutarsi un pagamento con carta ha la facoltà di denunciare la violazione alla Guardia di Finanza o all’Agenzia delle Entrate. Le autorità dovranno in questo caso avviare le indagini per la verifica della segnalazione.
Per quanto appaia irrisoria, occorre ribadire che la sopraindicata sanzione può essere applicata per ogni pagamento elettronico rifiutato. Inoltre, considerata la parte fissa della sanzione (30 euro indipendentemente dall’importo della transazione) la multa vanificherebbe del tutto l’incasso.
Di seguito proponiamo qualche esempio pratico di applicazione della multa in base all’importo della transazione:
Transazione rifiutata |
Sanzione |
---|---|
10 € | 30,40 € |
20 € | 30,80 € |
50 € | 32,00 € |
80 € | 33,20 € |
100 € | 34,00 € |
Transazione rifiutata |
Sanzione |
---|---|
10 € | 30,40 € |
20 € | 30,80 € |
50 € | 32,00 € |
80 € | 33,20 € |
100 € | 34,00 € |
Nella tabella possiamo osservare l’impatto concreto della multa in funzione dell’importo rifiutato. Non sono dunque da sottovalutare in considerazione del fatto che possono essere comminate sui singoli pagamenti rifiutati. Cosa vuol dire? Se nel corso di una giornata l’esercente rifiuta, ad esempio, 5 pagamenti con carta, il rischio è che vengano comminate 5 sanzioni.
Dopo aver parlato della teoria, passiamo alla pratica: la realtà è infatti molto diversa.
Ad oggi non esiste un sistema che agevoli la segnalazione da parte dei consumatori. Inoltre, per ogni segnalazione le autorità dovranno accertarsi dell’effettiva infrazione, circostanza che potrebbe non essere così facile da dimostrare.
Insomma, l’obbligo e le sanzioni ci sono ma manca tuttora una soluzione efficace per metterle in pratica.
A chi è rivolto l’obbligo?
Tutte le attività commerciali sono tenute ad avere un POS a disposizione nel caso in cui un cliente desideri pagare con carta: negozi, bar, tabaccherie, supermercati, pizzerie, ristoranti, centri estetici e così via.
Anche le attività itineranti, cioè i venditori ambulanti e coloro che esercitano un’attività di vendita in ambito mercati e fiere, sono tenuti ad offrire un metodo di pagamento elettronico ai propri clienti. Ma non finisce qui.
Lavoratori autonomi, liberi professionisti e artigiani rientrano altresì tra le categorie interessate dalla norma – dunque avvocati, medici, idraulici, elettricisti, parrucchieri, estetisti, psicologi, ecc. – indipendentemente dal regime fiscale adottato.
Anche professionisti e ditte individuali in regime forfettario sono dunque soggetti all’obbligo POS.
Non sono esenti tassisti, conducenti e autisti di servizi NCC.
L’intenzione del legislatore non è tuttavia quella di punire l’assenza del terminale, bensì il mancato uso in caso di richiesta da parte del consumatore.
Oltre la multa: il rapporto con il cliente
Al di là di quanto stabilisce la legge, occorre interrogarsi su un fattore che, a nostro avviso, è ancor più importante nell’ambito di un’attività commerciale o professionale: il rapporto con il cliente.
Rifiutare bancomat e carte vuol dire costringere il cliente a prelevare contanti più volte al mese, pagare le relative commissioni, perdere del tempo per raggiungere lo sportello automatico e attendere il turno e, più in generale, rinunciare alla praticità della transazione elettronica.
Quando si pretende il pagamento in contanti è bene riflettere sulle molteplici implicazioni economiche e pratiche che toccano in modo indiretto i clienti della propria attività, parte dei quali potrebbe virare sulla concorrenza. Ma le conseguenze dell’uso intenso di contante riguardano anche le imprese.
Quali metodi di pagamento sono obbligatori?
Si parla di “pagamenti con carta” ma talvolta anche di “transazioni elettroniche”.
La differenza tra le due espressioni è enorme, poiché la seconda indica la totalità degli strumenti che si servono di sistemi elettronici e tracciabili – ad esempio i wallet digitali, le applicazioni per i pagamenti con codice QR ma anche i tradizionali bonifici bancari.
È evidente però che l’imposizione riguardi solo i pagamenti con carta, ossia l’unico metodo universalmente utilizzato in Italia e nel mondo grazie a circuiti internazionali come Visa, Mastercard e American Express.
Più complicato sarebbe imporre metodi alternativi (es. pagamenti QR) che richiedono l’installazione di app specifiche nonché la registrazione ad altrettanti servizi. Al contrario, la carta è sempre inclusa con i conti correnti; del resto serve una carta anche per prelevare contanti.
Appurato che l’obbligo riguarda nello specifico i pagamenti con carta, rimane un’ulteriore questione da chiarire: i circuiti di pagamento.
Quali circuiti bisogna accettare?
Se prima si è detto che il termine “transazioni elettroniche” è generico, in un certo senso lo è anche “pagamenti con carta”. Non tutti i terminali, infatti, sono abilitati all’elaborazione di transazioni su qualsiasi circuito.
In Italia quasi tutti i servizi POS sono compatibili con le carte PagoBancomat (Bancomat), Visa, Mastercard, Maestro e VPay, vale a dire i circuiti più popolari che coprono la quasi totalità dei pagamenti con carta effettuati nel nostro paese.
Eppure non sono gli unici circuiti attivi in Italia: ci sono anche American Express, JCB, UnionPay e Diners Club tra i più noti.
Mentre Amex continua crescere, gli altri rappresentano una quota assai marginale del flusso complessivo di transazioni elettroniche, pur essendo fondamentali per alcune attività.
Si è obbligati ad accettare tutti i circuiti?
No.
Non è mai stata messa in discussione la libertà del negoziante o del professionista di scegliere il servizio che preferisce e che più si adegua al flusso economico della sua attività.
Se il gestore del servizio POS permette di accettare solo PagoBancomat, Visa e Mastercard, l’esercente non è tenuto ad accettare un pagamento con American Express o altro circuito.
Per il momento l’obbligo riguarda solo i pagamenti con carta, mentre sono esclusi metodi alternativi come i pagamenti QR.
La legge non stabilisce quali sono i circuiti obbligatori (né potrebbe mai farlo), dunque l’esercente non è tenuto ad abilitare circuiti secondari in aggiunta a quelli già inclusi nel servizio POS.
Ci sono eccezioni?
Non saranno multati imprenditori, artigiani e professionisti che non possono accettare il pagamento con carta nei casi di oggettiva impossibilità tecnica.
In caso di guasti o disservizi non si rischiano sanzioni. Qualora il cliente effettui una segnalazione alla Guardia di Finanza, la suddetta impossibilità tecnica dovrà essere provata.
Rientra nelle eccezioni, come abbiamo visto prima, anche l’impossibilità di elaborare una transazione su un circuito non supportato dal servizio POS.
Non basterà ovviamente dire al cliente che il terminale è guasto: se un consumatore segnala una violazione, il commerciante dovrà presentare prova del disservizio tramite documentazione fornita dal gestore del servizio.
Bonus POS: lo sconto sulle commissioni POS
L’obbligo è accompagnato da uno “sconto” sulle commissioni sul transato del terminale di pagamento, concesso dallo Stato sotto forma di credito d’imposta.
Il titolare del POS pagherà regolarmente la tariffa dovuta al fornitore del dispositivo, tuttavia potrà utilizzare il credito in compensazione nel modello F24. Non sarà dunque necessario inviare richieste né attendere il loro esito: il commercialista sarà in grado di detrarre subito l’importo del bonus.
Il credito d’imposta ammonta al 30% delle spese sostenute per il terminale.
Maggiori informazioni nell’articolo dedicato al Bonus POS
Le alternative economiche per rispettare l’obbligo
Le attività che ricevono pochi pagamenti con carta non devono necessariamente sottoscrivere un abbonamento con canone mensile.
Alcune società offrono POS economici senza costi fissi. La particolarità di queste offerte è l’assenza di canone mensile (il terminale si acquista con una spesa una tantum) ed una sola commissione sul transato, fissa e trasparente.
I POS senza canone più popolari vengono offerti da Axerve e SumUp:
– Axerve a commissioni (1%)
– SumUp (1,95%)
Foto: Mobile Transaction

POS Axerve.
Foto: Mobile Transaction

POS SumUp.
Axerve comporta una spesa iniziale più elevata poiché prevede l’acquisto di un POS Android, un cosiddetto terminale smart, al prezzo di 100 €).
SumUp propone invece diversi lettori di carte con un range di prezzi che vanno da 39 € a 129 €, ma la commissione sul transato è pari all’1,95% dell’importo ricevuto – quasi il doppio rispetto al concorrente.
Chi elabora un volume minimo di transazioni elettroniche (idealmente fino a 1.000 euro al mese) può optare per SumUp risparmiando così sulla spesa iniziale. Potrebbe tuttavia valere la pena investire qualche decina di euro in più per l’acquisto del terminale Axerve per beneficiare di una delle offerte POS più convenienti del momento.
Mobile Transaction ha messo a confronto le due soluzioni:
Per approfondire le differenze consulta il Confronto Axerve vs SumUp
Un’altra alternativa è rappresentata da Satispay Business, soprattutto sulle transazioni di piccolo importo. Il servizio non applica commissioni sui pagamenti fino a 10 euro, mentre addebita una tariffa fissa di 20 centesimi su qualsiasi importo maggiore a 10 euro.
È di fatto la migliore soluzione – o meglio quella più economica – sui cosiddetti micropagamenti, ma trova il suo limite nella scarsa diffusione: esercente e cliente devono essere entrambi registrati al servizio ed avere la sua app pronta all’uso.
Giacché non vi sono costi fissi né commissioni sulle transazioni fino a 10 euro, vale la pena registrare la propria impresa ed approfittare delle ottime condizioni economiche. Per ulteriori informazioni si può consultare la Recensione Satispay Business.