Insieme ai preparativi per le feste natalizie arrivano puntuali quelli per la Legge di Bilancio, anche nota come manovra finanziaria.

Entro la fine dell’anno il Parlamento dovrà approvare il documento che stabilisce la ripartizione dei fondi e le entrate dello Stato per tutto il 2023, oltre a programmare per gli anni a venire.

Quali sono le novità per esercenti e consumatori in materia di pagamenti?

In attesa dell’approvazione, scopriamo in che modo cambiano le regole nel rapporto tra commercianti e clienti, cercando di capire l’impatto reale delle modifiche apportate alle norme vigenti.

POS obbligatorio 2023: salta la sospensione delle sanzioni

Giunge al termine l’odissea che ha visto protagonista la modifica sull’obbligo POS per commercianti e professionisti. Dopo mesi di accese discussioni tra esercenti e consumatori, governo e istituzioni europee, si vanifica il tentativo di sospensione delle sanzioni nei confronti di imprese e autonomi che rifiutano il pagamento con carta.

Nella prima bozza della Legge di Bilancio si stabiliva l’annullamento delle multe per le transazioni fino a 60 euro.

Cos’è successo dopo? Istituzioni come Banca d’Italia, Commissione dell’Unione Europea e perfino l’Ufficio Parlamentare di Bilancio hanno osservato tramite documenti ufficiali come l’effetto di tali modifiche avrebbe intralciato la lotta all’evasione fiscale.

Le interlocuzioni hanno portato in un primo momento alla riduzione della soglia minima da cui sarebbero entrate in vigore le sanzioni, passando da 60 a 40 euro, poi a 30 euro. Infine, lo stesso Governo ha presentato un emendamento alla manovra finanziaria eliminando del tutto l’articolo in questione.

Insomma, nulla cambia: imprese e professionisti non potranno rifiutare i pagamenti con carta, per qualsiasi importo, a meno che non vogliano incorrere nelle sanzioni previste dalle norme vigenti.

Leggi di più nell’articolo POS obbligatorio 2023: regole e sanzioni

La Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha comunque affermato che il Governo troverà metodi alternativi per non far gravare sulle imprese le commissioni del terminale di pagamento.

Sembra dunque profilarsi una situazione favorevole ad entrambi le parti in causa: i consumatori potranno continuare a pagare con carta qualsiasi importo, e presto potrebbero giungere agevolazioni – si vedrà sotto quale forma – sulle commissioni addebitate agli esercenti. Nel frattempo potranno continuare a beneficiare del Bonus POS, ossia il credito d’imposta pari al 30% delle spese sostenute per la ricezione dei pagamenti con carta.

La questione delle commissioni: sono davvero così alte?

L’ostilità nei confronti delle transazioni elettroniche, composte prevalentemente dai pagamenti con carta tramite terminale POS, proviene soprattutto dalle piccole attività. Per i grandi negozi e le attività professionali consolidate sarebbe insolito, del resto, muovere critiche nei confronti di uno strumento che porta molteplici benefici: dalla semplificazione della contabilità alla riduzione delle perdite.

Detta così sembrerebbe che non vi siano validi motivi per opporsi all’obbligo, eppure è questo l’argomento che ha guidato il dibattito pubblico per oltre un mese, scatenando perfino una certa divisione sociale.

Secondo le piccole imprese, infatti, le commissioni del terminale sono una spesa troppo elevata da sostenere. Alcuni, come si è letto sui giornali e sempre più spesso sui social network, preferiscono perfino regalare il caffè anziché farselo pagare con carta poiché andrebbero «a perderci.»

In realtà, ricevere micro-pagamenti elettronici non grava al punto da rendere più conveniente la rinuncia allo stesso pagamento, semplicemente perché le commissioni sul transato sono espresse in percentuale e dunque variabili a seconda dell’importo.

Le tariffe a percentuale assicurano una spesa esigua sulle transazioni di basso importo. Se un cliente vuole pagare il caffè da 1 euro con la carta, al proprietario del bar viene addebitata una commissione che può variare – a seconda della soluzione scelta dallo stesso esercente – da meno di 1 centesimo a 3 centesimi. Una “perdita” inferiore a quella causata da una moneta o da una banconota falsa, o ancora da un resto sbagliato.

Gli esercenti a questo punto potranno obiettare che il problema non sono le commissioni sul transato bensì il canone mensile. Hanno ragione, motivo per cui dovrebbero preferire un terminale senza canone e con una commissione adeguata al loro transato.

Nel Confronto tra i migliori POS per piccole imprese suggeriamo qualche soluzione.

In bilico anche l’aumento del tetto di spesa in contanti?

L’altra grande novità riguarda l’innalzamento del tetto contanti, vale a dire la soglia massima spendibile in contanti per un unico acquisto.

Andando in direzione opposta a quanto delineato nelle precedenti legislature, l’attuale governo ha proposto l’incremento del limite di pagamento in contanti da 1.000 a 5.000 euro per singola operazione.

È possibile che, nonostante la mancanza di praticità, ci siano infatti consumatori che preferiscono portare con sé migliaia di euro in cash per concludere un acquisto anziché avvicinare la carta o il telefono al terminale. Il commerciante dovrà in questo caso prendersi del tempo non solo per contare le banconote ma anche per verificare che non siano contraffatte (quelle da 20 e 50 euro sono le più diffuse) ma, ancora una volta, gli esercenti non sembrano infastiditi da tali incombenze.

Di fronte ad una scena simile, inutile negarlo, viene da chiedersi i motivi per cui cliente ed esercente siano disposti a rinunciare alla comodità e alla sicurezza della moneta elettronica.

Non può essere provata la correlazione diretta tra contanti ed evasione fiscale, ciononostante è un dato di fatto – come indicato dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio – che nelle regioni dove l’uso del cash è più diffuso si registra al contempo un tasso più elevato di evasione.

Anche Banca d’Italia si esprime nello stesso senso, affermando che legittimare transazioni in contanti di importo elevato potrebbe non aiutare lo Stato nel recupero degli oltre 26 miliardi di IVA evasa nell’arco di un solo anno fiscale.

Ma, a quanto pare, lo Stato non sarebbe il solo la risentire dell’uso massiccio di banconote e monete: perdite significative e talvolta ignorate toccano anche consumatori e imprese. Approfondiamo l’argomento nel nostro articolo Il costo del contante.

Con lo stesso emendamento che ha annullato le modifiche alla legge sui pagamenti con carta, il Governo avrebbe infine rinunciato anche a questa misura non meno discussa, tuttavia il Ministro dell’Economia ha chiarito che si tratterebbe di un mero errore tecnico, per cui l’innalzamento del tetto al contante dovrebbe essere presto confermato e approvato.

Il governo rinuncia alla tassa sull’e-commerce

Nella prima versione della manovra finanziaria si era accennato all’introduzione di un’imposta denominata Amazon Tax o Green Tax, attraverso cui il governo mirava a conseguire due diversi obiettivi: ridurre la circolazione di mezzi in inquinanti e dare una spinta al commercio di prossimità, cioè ai negozi fisici, contrastando il predominio delle multinazionale del settore ecommerce.

In apparenza una buona idea, o quantomeno apprezzabili erano gli obiettivi finali, ma fin da subito si è fatto notare come una simile norma potesse generare un effetto opposto a quello sperato, cioè ledere il tessuto economico italiano ed un’industria, quella del commercio digitale, che in Italia genera oltre 60 miliardi di fatturato.

Solo nel 2020 sono nate in Italia più di 10.000 imprese specializzate nella vendita online, per non parlare di tutte le piccole attività approdate sul web con l’obiettivo di tenere in vita le loro sedi fisiche grazie all’integrazione della vendita a distanza.

Per evitare di colpire le piccole imprese italiane si era dunque pensato di fissare una soglia di minima di fatturato, al di sopra della quale la cosiddetta Amazon Tax avrebbe trovato applicazione. Questa soluzione non avrebbe però tenuto al riparo la vasta rete di corrieri nazionali ed internazionali che in modo capillare coprono l’intero territorio italiano, non solo di veicoli bensì di sedi fisiche, punti di ritiro e dunque di posti di lavoro.

Presente solo nella prima bozza della legge di bilancio, la proposta è stata prontamente stralciata dopo le osservazioni critiche giunte da più parti, tanto da rendere inutile un intervento delle multinazionali chiamate in causa.