Le ferite arrecate dalla pandemia al tessuto economico mondiale iniziano lentamente a rimarginarsi. Mentre ciò accade, statistiche e studi condotti nel post-crisi hanno messo a nudo la capacità dei singoli paesi di far fronte alle emergenze tramite gli strumenti digitali.

Raccogliamo nel presente articolo alcuni dei dati più interessanti sull’impatto che la pandemia ha avuto sull’e-commerce in Italia e nel mondo durante le diverse fasi dell’emergenza sanitaria ed economica causata dal Covid-19.

Dall’e-commerce la prima dimostrazione di resistenza alla crisi

Nel 2020, mentre le serrande dei negozi chiudevano, gli stessi esercizi commerciali si apprestavano ad aprire le porte virtuali della loro attività, e i clienti ad entrarvi senza remore a discapito del confinamento domestico.

900 miliardi

Lo scorso anno sono stati spesi online 900 miliardi di dollari.

Su 5 $ spesi in attività di vendita al dettaglio, 1 $ deriva da vendita online.

Nell’anno peggiore dell’emergenza sanitaria – e in particolare nei mesi di lockdown – nel mondo sono stati spesi 900 miliardi di dollari attraverso siti e-commerce.

Se nei paesi poco digitalizzati la pandemia ha in qualche modo costretto parte dei commercianti all’adozione dell’ecommerce, in altri ha rappresentato un mero catalizzatore.

I cosiddetti early digital adopters – che vantavano un alto tasso di diffusione del commercio online già prima degli eventi pandemici – sono riusciti ad affievolire con maggiore efficacia l’impatto della crisi, come spiega al Mastercard Economics Institute il prof. Bhaskar Chakravorti della Fletcher School presso la Tufts University (Massachussets, USA):

“La pandemia è ad oggi il test più attendibile sul progresso in tema di digitalizzazione, provando nel modo più crudo possibile la capacità di resilienza delle economie digitali di fronte al caos economico, oltre che la loro predisposizione alla crescita futura.”

Un’ulteriore divergenza nel tasso di diffusione del commercio online si riscontra non tra un paese e l’altro, bensì tra le diverse aree di uno stesso territorio. Anche la densità di popolazione influisce infatti nel rapporto tra esercenti, consumatori e canali di acquisto.

Accessibilità ad internet

In Italia 🇮🇹 hanno accesso ad internet 50,5 milioni di persone, circa l’85% della popolazione.

In Spagna 🇪🇸 è l’82% della popolazione a connettersi in rete, mentre in Francia 🇫🇷 si registrava nel 2019 un 83,3% di diffusione.

La paura del contagio ha allontanato non solo i consumatori dal negozio fisico, ma soprattutto dal trasporto pubblico.

Nelle grandi aree urbane, le persone hanno mostrato una spiccata reticenza nell’uso dei mezzi di trasporto in comune, del resto disincentivati dagli stessi governi e dalle autorità locali. Lì dove il “negozio sotto casa” non rientra tra gli agi quotidiani, il commercio online ha trovato la sua fortuna.

Il boom digitale degli alimentari

Nel periodo pre-crisi, il settore alimentari (es. supermercati e salumerie) risultava tra i meno digitalizzati, ossia tra le attività – soprattutto in ambito PMI – che meno ricorrevano ad ecommerce e strumenti analoghi.

La particolare categoria merceologica richiede invero un approccio più diretto da parte del consumatore, il quale ha la possibilità di valutare freschezza e qualità del prodotto solo da vicino. L’emergenza ha affievolito tale approccio durante i mesi più rigidi del lockdown e, con sorpresa, ha dato il via ad un processo di cambiamento rispetto al passato.

Se prima della pandemia solo il 7% delle imprese del settore faceva ricorso ai canali di vendita digitali, durante il picco di contagi la loro quota ha raggiunto il 10% – ma il dato più sorprendente riguarda la permanenza di tale crescita: nel post-crisi, cioè nell’anno 2021, si è perso solo un punto percentuale del suddetto incremento.

Spagna e fast food

In Spagna 🇪🇸, il 41% degli e-shopper ha effettuato acquisti nella categoria degli alimentari, con un inatteso aumento del 151% degli ordini nella sotto-categoria del fast-food.

Segue la Francia 🇫🇷 con il 30% di acquisti online in alimentari e l’Italia 🇮🇹, con un altrettanto notevole 28%.

Più scettici appaiono i consumatori digitali in Germania 🇩🇪 e Polonia 🇵🇱, dove il settore food non compare tra le prime otto categorie per spesa online.

In tema di digitalizzazione del commercio, a correre in soccorso dei piccoli commercianti del settore alimentare e della ristorazione (colti impreparati rispetto alle grandi catene) è stato il Click and Collect (in italiano, clicca e ritira).

Questa modalità – già diffusa in larga parte dei paesi anglofoni occidentali – consiste di fatto nella semplificazione dell’ordine a distanza. Anziché ordinare la pizza con una telefonata, i consumatori hanno iniziato a farlo tramite app in modo più rapido, efficace e piacevole di quanto possa essere una chiamata vocale.

E-commerce in Italia: nel 2020 nascono più imprese digitali, ma non basta

Nel 2020 sono nate 10.467 imprese con codice ATECO 47.91.1, vale a dire “Commercio al dettaglio di qualsiasi tipo di prodotto effettuato via internet” (fonte: InfoCamere.it)

Tra le piccole e medie imprese già esistenti in ambito “fisico”, in epoca pre-Covid nel nostro paese solo il 9% affiancava la vendita in presenza a quella virtuale (ad esempio attraverso un proprio sito web, tramite marketplace o altri strumenti digitali), mentre nell’anno del virus influenzale sono passate al 17,2%.

Se quello appena indicato è sicuramente un dato importante, occorre sottolineare che l’ecommerce è ben lontano dall’essere la risposta ad una crisi sanitaria, poiché tali numeri appaiono del tutto irrisori rispetto alla realtà del “fisico”.

Aprono negozi online, chiudono i negozi fisici

La folta fioritura di nuovi siti e-commerce non contribuisce a restituire un buon quadro complessivo in Italia.

A fronte delle oltre diecimila aperture per attività di commercio online, sono 390.000 le imprese italiane non alimentari che hanno definitamente abbassato la serranda.

A beneficiare della transizione al digitale (più avanti scopriremo se dal carattere temporaneo o permanente) sono infatti, soprattutto, le grandi imprese e in particolare le multinazionali specializzate nell’ecommerce.

Tra gli e-shopper italiani, un impressionante 94% ha fatto acquisti su Amazon, il 54% ha acquistato anche su eBay e, infine, il 44% non ha potuto fare a meno di acquistare abbigliamento, scarpe e accessori su Zalando.

Commercio online “light”

Non tutte le PMI sono però disposte a cedere a quello che ormai appare come un monopolio – o meglio, un oligopolio.

In Italia, il 27,8% delle piccole e medie imprese ha infatti optato per un commercio online in versione soft, vale a dire per strumenti come social network, moduli online e la già citata modalità del click and collect, dove si mantiene il rapporto diretto tra commerciante e cliente, senza passare da agenti terzi che tra uno step e l’altro assorbono parte delle entrate.

Oltre al fattore puramente economico non è da sottovalutare l’aspetto pratico: allestimento e gestione di un sito e-commerce richiedono familiarità con gli strumenti online e talvolta anche un po’ di esperienza nello sviluppo web. Per l’imprenditore medio è quasi impossibile agire in modo indipendente; ne consegue la necessità di affidarsi ad un professionista nel quale – in assenza di qualsivoglia conoscenza degli strumenti web – si sarà costretti a riporre la propria fiducia, al buio.

Ad offrire una scappatoia vi sono in prima linea i social network – soprattutto Facebook – ma un’altra interessante alternativa giunge dalle soluzioni POS che, a loro volta, basando la loro attività sulle vendite in presenza, seguono un trend simile a quello dei negozi fisici: anche loro sono alla ricerca di un’ancora di salvataggio.

La spesa media

Nel 2020, in Italia 40 milioni di consumatori hanno effettuato acquisti online, spendendo in media 647 € a testa.

Non sorprende dunque che buona parte dei gestori di terminali di pagamento abbiano oggi messo a disposizione – gratuitamente o a condizioni di favore – modalità per favorire le transazioni a distanza, ad esempio negozi online configurabili in pochi clic e senza alcuna esperienza, oppure i cosiddetti link di pagamento per rendere possibili i pagamenti con carta anche nell’ambito di ordini telefonici e prenotazioni.

Shopping cross-border

Aumentano nel mondo gli acquisti online cross-border, cioè gli acquisti all’estero via web. Quale ruolo assume l’Italia 🇮🇹? Soprattutto il ruolo di consumatore, poiché solo l’8% delle operazioni cross-border sono registrate in entrata.

I paesi che più beneficiano dallo shopping online fuori confine sono Cina 🇨🇳 (59%), Regno Unito 🇬🇧 (27%), Stati Uniti 🇺🇸 (27%), Germania 🇩🇪 (26%), i paesi nordici (19%). L’Italia viene superata perfino dalla Spagna 🇪🇸, che si aggiudica il 9% degli acquisti dall’estero.

La permanenza della crescita nel post crisi

Le piccole e medie imprese si sono trovate improvvisamente a cambiare abitudini e canali di vendita estendendo i propri servizi tramite il web, ma cosa accadrà una volta che l’incubo sarà giunto al termine? Una proiezione più o meno attendibile per gli anni a venire è resa possibile dall’andamento dell’e-commerce nel 2021.

Buona parte dei paesi ha infatti ritrovato qualcosa di simile alla quotidianità che conoscevamo prima della pandemia, seppur con green pass e mascherina al seguito. Gli esercizi commerciali hanno riaperto, i consumatori entrano nei negozi senza troppe preoccupazioni e, a dirla tutta, nessuno sembra far più caso al distanziamento sociale e alle norme anti-Covid.

Una risposta alla domanda che ci siamo posti arriva dallo studio del Mastercard Economics Institute, Commerce E-volution Report. Passato il peggio – ossia l’anno 2020, quello delle autocertificazioni per uscire di casa – gli strumenti di vendita online hanno lasciato il segno in Europa e in Italia, ma forse in maniera meno netta del previsto.

Quota e-commerce nella vendita al dettaglio

In Italia 🇮🇹, in fase pre-Covid l’ecommerce aveva un impatto del 4,3% sul totale delle vendite al dettaglio (una percentuale piuttosto bassa rispetto al resto d’Europa); durante il picco della crisi la quota dell’online ha raggiunto il 7,8% (+3,5%), mentre oltrepassata la fase critica (indicativamente dalla primavera 2021) si è assestata al 5%. La differenza tra la “vecchia normalità” e quella ritrovata è dunque di un +0,7%.

Dato lievemente migliore per la Germania con un +1,2% rispetto al pre-crisi; segue la Francia 🇫🇷 con un +1,7% e il Regno Unito 🇬🇧 (con un commercio già ampiamente digitalizzato) sale dal 21,8% al 24,1% (+2,3%). Un trend simile a quello rilevato nell’Unione Europea si osserva in Brasile 🇧🇷 (+1%) e Russia 🇷🇺 (+2%). Oltreoceano, negli Stati Uniti 🇺🇸, la crescita tra il “prima” e il “dopo” è invece più consistente (+6%).

Conclusioni

Il commercio online non salverà l’economia di un paese afflitto da un’emergenza sanitaria, ma indubbiamente ne attenua gli effetti. A dimostrarlo è la differenza tra i dati registrati nell’anno che ha preceduto l’emergenza Covid, quelli del picco di contagi e, infine, i dati della fase che possiamo definire “post Covid”, o quantomeno post emergenza.

L’impennata dello shopping online nel 2020 è infatti dovuta all’assalto dei negozi online e dei marketplace durante i primi mesi dell’anno, ossia nel periodo in cui i consumatori erano perlopiù reclusi nelle proprie abitazioni.

Annunciato come una rivoluzione della vendita al dettaglio, l’e-commerce si è infine rivelato una sorta di costrizione: nel 2021 le persone sono tornate a varcare le soglie dei negozi fisici, dei ristoranti e dei bar portando ossigeno (come dimostrano i recenti dati relativi al PIL italiano) alle piccole attività che dal commercio online non hanno potuto beneficiare per impreparazione ma anche per iniquità delle condizioni concorrenziali. I big del settore dominano la scena con numeri impressionanti, dal sapore monopolistico.

Con il ritorno al fisico è rientrata anche la quota dell’ecommerce nel campo della vendita al dettaglio, per la gioia delle PMI. I livelli si sono certamente assestati su gradini più alti rispetto al pre-crisi, ma perlopiù in linea con un incremento fisiologico e prevedibile. Un impatto più incisivo è stato invece registrato nei paesi early adopters, la cui società era di per sé già avvezza al digitale.

Il vero cambiamento che fa ben sperare per il futuro si individua nelle abitudini dei cosiddetti e-shopper. Malgrado i big dell’ecommerce – che possiamo paragonare a grandi centri commerciali – abbiano confermato la loro posizione di privilegio, un discreto numero di consumatori ha scoperto che c’è vita oltre Amazon, eBay e Zalando.

Sempre più persone sono uscite dai centri commerciali virtuali per entrare nei piccoli negozi online, soprattutto in ambito alimentare, dove la ricerca di attività situate nella propria area geografica ha permesso a ristoranti, bar e pizzerie di non interrompere l’attività nonostante le strade deserte, aprendo così la strada a canali light, meno impegnativi, come il click and collect e la vendita tramite social network.

Fonti