Nel panorama bancario attuale non esistono altri canali se non quelli digitali. La filiale fisica – sempre più diradata sul territorio – si occupa prevalentemente di fornire ai cosiddetti analfabeti informatici assistenza per l’accesso agli strumenti online.
Il digitale non è il futuro della banca, bensì il suo presente.
Quale posizione occupa l’Italia nel settore delle banche digitali? Qual è la situazione attuale e quali sono le prospettive per il futuro?
Gli attori principali del mercato italiano
Nel 1999 UniCredit dà vita alla prima banca digitale italiana così come intesa oggi, Fineco. Dopo 20 anni di storia, nel nostro paese è ancora oggi il brand più forte del settore bancario online, con oltre 1,3 milioni di conti aperti.
A rompere gli equilibri del precursore arriva, nel 2008, Mediobanca con CheBanca!. Nel solo anno di apertura raccoglie 170.000 clienti fino ad arrivare ai quasi 900.000 nel 2019.
Nel 2013 irrompe nel mercato italiano il gruppo francese BNP Paribas per lanciare la sua banca digitale, Hello bank! con il supporto dell’alleata BNL – Banca Nazionale del Lavoro. Lo stesso anno la divisione digitale del Monte dei Paschi di Siena dà i natali a Widiba, poi trasformatasi nel volto pulito di un gruppo bancario tristemente noto alle cronache.
Fineco e CheBanca! hanno aperto le danze ma, nel 2020, in un mare ormai pieno di pesci, dovranno schierare tutte le risorse tecnologiche e umane disponibili per restare a galla: la loro storia potrebbe non essere sufficiente a sostenerli in un mercato altamente fluido, in cui un conto corrente non è per sempre.
Addio alla banca “di fiducia”
Secondo lo studio Digital Banking condotto dall’istituto KPMG, una importante fetta della popolazione italiana (il 63%) è titolare di più conti correnti in diverse banche.
La ricerca fornisce poi indicazioni sui prodotti che indirizzano il consumatore verso la scelta della propria banca principale, ossia del servizio che intende utilizzare con più frequenza.
Per l’86% del campione interrogato è essenziale associare un conto corrente per la fruizione ordinaria della liquidità; un significativo 60,2% collega al conto principale gli addebiti della carta di credito, seguiti dalle operazioni legate alla carta prepagata (42,6%) e dal conto deposito (29,7%) per la disposizione rapida dei risparmi.
Si deduce che le condizioni (economiche ma anche di fruibilità e accessibilità) di conto corrente, metodi di pagamento associati ad esso, carte e risparmi a breve durata costituiscono la chiave per attrarre nuova clientela, molto più di investimenti a lungo termine, finanziamenti e mutui – più redditizi per gli istituti di credito ma meno efficaci dal punto di vista della promozione del brand.
Light banking e mobile banking in Italia
Il 2019 è stato un anno importante per il passaggio dell’intero sistema bancario dal fisico al virtuale; la banca tradizionale come conosciuta in principio diventa in realtà una banca online con un numero di filiali territoriali sempre più diradato. Ma l’evoluzione del settore fintech non si ferma qui.
Light banking e mobile banking sono le parole chiave del nuovo decennio. Il 2020 è una pietra miliare su una strada a senso unico. Ma dove si colloca l’Italia nell’era della finanza tecnologica?
La prima risposta giunge dal gruppo Sella, che attraverso la sua piattaforma di corporate innovation e startup scouting SellaLab mostra avere piena consapevolezza della realtà che ci circonda; circostanza non sempre scontata negli ambienti bancari tradizionali.
È proprio la holding guidata da Banca Sella a mettere in campo la prima soluzione italiana di mobile banking o light banking: il conto con carta Hype. Nata nel 2015, dopo 5 anni di attività presenta un bilancio più che sorprendente, superando l’home banking delle più longeve CheBanca e Widiba: il 13 gennaio 2020 annuncia 1 milione di utenti.
Un’estesa comunità, quella degli hypers, in grado di scambiarsi piccole somme di denaro e dividere un conto in pochi istanti e in maniera del tutto automatica. Hype trasferisce banca e portafogli nello smartphone.
Prepagate e carte-conto sono un prodotto sempre più apprezzato da tutte le fasce di utenti. L’età media dei clienti Hype è di 33 anni.
La fortunata esperienza del gruppo Sella stimola la nascita di prodotti simili nonché il restauro dei concorrenti più datati, PostePay in pole position. Anche istituti minori approfittano del periodo florido per imporre a livello nazionale il proprio brand.
Banca Profilo ha saputo giocare le sue carte con Tinaba, partita come carta prepagata per poi evolversi in un vero e proprio conto corrente con salvadanaio remunerato e gestione del risparmio. Passando per un brand giovane, innovativo e light, Banca Profilo conquista il suo posto nel mercato italiano – e lo fa evitando sprecare importanti risorse sui canali pubblicitari di massa.
Mentre gli istituti bancari tradizionali continuano ad orientarsi nel mondo digitale con risultati più o meno mediocri, in Italia ci pensa illimity Bank a fissare i paletti per una reale e concreta innovazione del concetto di banca.
Distaccandosi dai prodotti summenzionati, illimity rimuove la parola light e punta a fornire una soluzione completa, in grado di rispondere sia alle esigenze di uso quotidiano (conto corrente, carte di pagamento, conti aggregati) sia alla gestione patrimoniale. Altresì detto, la creatura dell’ex Ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera ambisce a riunire in un unico luogo – un’app – la moltitudine di servizi che al momento affollano un’intera schermata del nostro smartphone.
Degna di nota è anche l’esperienza di buddybank, la mobile bank di UniCredit. Rispetto ad illimity è meno completa nell’offerta di prodotti finanziari, tuttavia tali mancanze vengono gestite dalle filiali UniCredit: potremmo definirla una banca diversamente mobile.
Nonostante il suo target sia limitato da uno specifico sistema operativo, nel 2019 è riuscita a raccogliere 40.000 clienti, anche grazie ad interessanti promozioni che l’hanno vista elargire un numero significativo di AirPods ai nuovi clienti.
Le banche estere colmano il vuoto domestico
Escludendo i conti online derivati da realtà tradizionali, gli istituti italiani addentratisi nell’innovativo mondo delle banche da smartphone si contano sulle dita di una mano. Un vuoto che le aziende estere non tardano a colmare: basta dare un’occhiata alla Tabella 1 per osservare la scalata delle banche straniere.
Sono due, per il momento, i principali player non italiani a stimolare un settore che per troppo tempo ha dormito sugli allori. N26 è partita dalla Germania ma di strada ne ha percorsa tanta, fino a sbarcare Oltreoceano, negli Stati Uniti e in Brasile.
Il 2019 è stato l’anno di svolta per un’azienda che ha investito nella tecnologia mobile una parte consistente del suo capitale.
In Europa è stata raggiunta quota 3,5 milioni di clienti, il 14,2% dei quali è italiano. Con simili risultati è comprensibile la particolare attenzione che la mobile bank tedesca riserva all’Italia: nel 2020 saranno portate a termine le procedure burocratiche affinché N26 possa mettere radici anche nel nostro paese e diventare a tutti gli effetti una banca (anche) italiana.
Le startup fintech europee attraggono miliardi di investimenti da tutto il mondo
Il termine unicorn in ambito imprenditoriale è stato usato per la prima volta dalla rivista americana Fortune con lo scopo di identificare le startup della Silicon Valley con un valore uguale o superiore a 1 miliardo di dollari.
Se all’epoca erano assai rare, sono bastati pochi anni ad alcune startup europee del settore finanziario-tecnologico per introdursi nell’ambito elenco e scalarlo con una forse inattesa agilità.
Unicorni in Europa (2019)
Tabella 2. Elaborata da Mobile Transaction con i dati resi noti da CB-Insights Fintech Trends 2019.
Se gli unicorni europei non occupano i primi posti della classifica generale (dominata dalle startup made in USA e Cina), la prospettiva cambia radicalmente filtrando l’elenco per il solo settore del digital banking, inteso come servizi di conto corrente e conto deposito.
È questo il campo in cui l’Europa eccelle, guidata dalla mobile bank tedesca N26 (2,7 miliardi) e seguita a ruota dalle britanniche Revolut (1,7 miliardi) e Monzo (1,27 miliardi).
Mentre N26 continua ad attrarre investimenti con lo scopo di gestire al meglio il lancio nel mercato statunitense e brasiliano (o forse in previsione di una IPO), non restano a guardare le altre startup europee.
L’altro unicorno dei conti online, Revolut, vale un miliardo in meno rispetto alla banca tedesca ma in un certo senso è ancor più interessante. Nel 2018 l’azienda britannica – che nel frattempo è stata riconosciuta come istituto bancario dalle istituzioni lituane – ha incrementato i propri ricavi del 354% rispetto all’anno precedente con 58,2 milioni di sterline.
In Italia ha raggiunto 300.000 utenti che si mostrano inclini al viaggio. Il numero italiani che ha viaggiato con Revolut è aumentato del 23%, pur mantenendo il budget delle trasferte al di sotto della media europea. Si riscontra, del resto, una tendenza al risparmio: nel 2019, nonostante 1,2 milioni di transazioni effettuate nel nostro paese, 15.000 utenti hanno messo da parte 10,5 milioni di euro tramite la funzione Vault.
Pagamenti digitali e risparmio non sono tuttavia gli unici campi di azione del brand. Assicurazioni di viaggio, trading online e donazioni estendono un’offerta che continuerà ad espandersi con carta di credito e terminali POS. Revolut è decisamente candidata a diventare la fintech più importante d’Europa: il 2020 sarà un anno determinante per il futuro di questa azienda.
Le neobank alla conquista di startup e lavoratori freelance
Importanti progressi si sono compiuti nel campo dei servizi dedicati ai privati, mentre professionisti e aziende sono tuttora costretti ad orientarsi in un territorio antiquato. Aprire un conto corrente con partita IVA richiede ancora oggi, nella maggior parte dei casi, una visita in filiale – con le naturali conseguenze del caso: lunghe attese, procedure inutilmente arzigogolate, impiegati-promoter di prodotti finanziari e assicurativi.
C’è poi una caratteristica a rendere tali soluzioni particolarmente appetibili ai professionisti digitali – siano essi aziende o freelance – che intrattengono rapporti con clienti e datori di lavoro internazionali: i conti multivaluta e gli strumenti per evitare che i costi dei bonifici esteri si abbattano nella loro interezza andando a scalfire le entrate.
Se nel settore dei servizi per privati i due brand più volte menzionati sono precursori, ben diverse sono le circostanze nel settore B2B (Business to Business) dove la sfida è animata da società come Qonto – oltre alle decine di altre aziende che scalpitano dal desiderio di esportazione al di là dei confini nazionali.
Quali prospettive per le banche digitali italiane?
È sufficiente posare uno sguardo anche superficiale sulla dinamicità e sugli investimenti del settore per comprendere il livello di competizione che anima questo mercato, al quale l’Italia deve far fronte per non diventare ospite nel proprio paese.
Un quadro più chiaro del ruolo occupato dall’Italia in tal campo si delinea attraverso i dati dell’istituto di analisi e statistica Statista GmbH sulla diffusione dell’online banking nei paesi europei.
Diffusione online banking in Europa (2018)
Tabella 3. Fonte: Online banking penetration in selected European markets in 2018, Statista.com
I dati della Tabella 3 indicano la percentuale della popolazione con accesso a servizi bancari online. Non sorprende che i paesi scandinavi, notoriamente più avanzati dei compagni europei, siano quasi totalmente digitalizzati: in Novergia 93 persone su 100 utilizzano internet per gestire le proprie finanze, mentre in Danimarca, Svezia e Finlandia (ma anche nei Paesi Bassi) la percentuale cala a 89.
La posizione dell’Italia in questa classifica è senza mezzi termini imbarazzante, con appena 34 persone su 100 che si collegano alla rete per consultare o effettuare operazioni sul proprio conto corrente: sopra di noi perfino la Germania, paese che – proprio come noi – fatica ad abbandonare il contante. Peggio dello Stivale solo Cipro (33%), Grecia (27%), Macedonia (9%), Romania e Bulgaria (7%).
Se da un lato ci troviamo di fronte ad un’incontestabile arretratezza del nostro paese rispetto ai modelli bancari europei, dall’altro non si possono ignorare i dati dell’Osservatorio Mobile Payment & Commerce 2019, i quali registrano una rapida ed inarrestabile diffusione dei metodi di pagamento che passano da dispositivi smart (smartphone, smart watch, POS mobile, ecc.)
Dal punto di vista digitale in Europa siamo tra i popoli più arretrati ma, per ovvie ragioni, disponiamo allo stesso tempo di un elevato potenziale di sviluppo. Come mostrato dalle ultime tendenze, gli italiani sono pronti alla transizione verso il nuovo modello di banking; a cambiare la tendenza non può essere tuttavia la mera inclinazione personale.
La guida spetta ai big del settore e soprattutto alla direzione politica del paese, che dovrebbe mostrarsi più propensa alla semplificazione fiscale e burocratica con interventi in favore dell’imprenditoria digitale e delle startup. In assenza di condizioni adeguate, l’Italia continuerà ad essere una nazione con un elevato ma inespresso potenziale.