Il primo acquisto con criptovaluta in un negozio fisico avvenne nel 2010, quando un uomo acquistò due pizze per 10.000 Bitcoin. A più di dieci anni di distanza, la popolarità della criptomoneta continua a crescere.

Nel Regno Unito il numero dei possessori di criptovalute è passato da 1,9 milioni a 10, 6 milioni nel giro di sette mesi (da dicembre 2019 a luglio 2020). Nel 2021, #crypto è stato uno degli hashtag più popolari su Twitter, con 6,57 milioni di tweet.

Una tale enfasi sull’argomento suscita qualche riflessione: le piccole imprese dovrebbero accettare criptovaluta come metodo di pagamento?

Nonostante il tema sia sempre all’ordine del giorno tra notizie e discussioni sui social network, ad oggi la criptovaluta non ha ancora raggiunto la sua maturità. Se sei titolare di un piccolo negozio e stai riflettendo sulla possibilità di ricevere pagamenti cripto, ci sono alcune considerazioni da fare prima di giungere ad una decisione.

In Italia è legale accettare criptovalute?

Ad oggi in Italia non esiste alcuna norma a vietarne l’utilizzo in qualità di metodo di pagamento, dunque non vi è alcuna restrizione in tal senso.

Nel Comunicato stampa del 28 aprile 2021, Banca d’Italia si limita a segnalare i rischi legati alla crypto, tra cui la volatilità della quotazione e l’assenza di tutele legali e contrattuali.

Vale la pena per una piccola attività?

La pandemia ha portato molte piccole imprese in una sorta di limbo finanziario.

Adattarsi alle regole e alle restrizioni in continua evoluzione vuol dire sviluppare una visione pragmatica del cambiamento. Vale la pena compiere tale salto? Cerchiamo di capire:

I pagamenti cripto non riguardano solo beni di valore

Accettare criptomoneta è indubbiamente di aiuto alle aziende che vendono beni di lusso o comunque di valore medio-alto. Si pensi, ad esempio, allo stilista tedesco Philipp Plein, alle case automobilistiche e di sviluppo software, alle grandi agenzie di viaggio.

E per quanto riguarda beni di consumo e altri prodotti economici? Il marchio di cosmetica Lush ha iniziato ad accettare criptomonete in alcuni paesi; Microsoft permette di pagare con cripto, nel suo online store, giochi per Xbox e software per Windows. Ma non finisce qui.

In Italia, anche piccole attività e negozi fisici hanno introdotto la criptomoneta tra i metodi di pagamento disponibili. Per facilitare la ricerca è stato creato un sito web che riporta tutti gli esercizi commerciali coinvolti: QuiBitcoin permette di filtrare i negozi per categorie, città o regione.

Con sorpresa, tra le attività più presenti nell’elenco del database sopraindicato si osservano avvocati e studi legali. Bitcoin e altre valute virtuali vengono accettate anche in numerosi centri estetici, negli studi medici, in negozi di cosmetica, pizzerie e così via.

Per una copertura internazionale delle attività che accettano criptomoneta si può invece consultare CoinMap.

Accettare criptomonete può far aumentare la clientela

Uno studio condotto nel Regno Unito mostra che nel paese anglosassone i titolari di criptomonete sono così distribuiti tra le fasce di età: 18-24 (27,5%), 25-34 (33,1%) e 35-44 (24,2%). La valuta virtuale ha un maggiore appeal all’intersezione tra i Millenial e Generazione Z, nata e cresciuta con la tecnologia.

Abilitare tale forma di pagamento può attrarre un nuovo tipo di clientela, più giovane. A sostenere questa tesi vi è uno studio della Forrester Consulting, secondo cui accettare Bitcoin (BTC) porta ad un incremento del numero di clienti e di vendite.

Nel 2022, le generazioni più giovani continueranno a ricercare metodi economici e trasparenti per spendere le proprie disponibilità. Ad esempio, la Generazione Z (18-24) nel mondo detiene un potere di spesa di circa 143 miliardi di dollari e mostra un interesse crescente in metodi alternativi di pagamento.

I Millennial e la Gen Z rappresentano la maggioranza degli investitori in criptovaluta. Dunque, per un piccolo negozio che punta a costruire una base di clienti redditizia e a lungo termine, l’offerta del pagamento crypto potrebbe costituire una importante opportunità.

Le generazioni più giovani mostrano interesse nell’uso delle cripto come metodo di pagamento.

La spesa media dei consumatori che pagano con valuta virtuale è più elevata

Secondo alcuni studi, i clienti che utilizzano criptomonete spendono, per singolo acquisto, circa il doppio rispetto ai titolari di carta di credito; ciò risulta in un incremento medio del 327% dell’indice di redditività del capitale investito (ROI).

Emerge qui il richiamo all’opportunità di accettare carte American Express nei piccoli negozi. La media elevata di spesa dei possessori di cripto è sufficiente a compensare il costo e gli sforzi dei piccoli imprenditori?

La crescita costante di carte associate a criptovaluta, come quelle di Visa, suscita un vago entusiasmo. Visa collabora con 50 piattaforme leader nel settore della valuta virtuale per rendere il suo utilizzo più facile. Con oltre un miliardo di dollari spesi attraverso carte-crypto nella prima metà del 2021 – e in assenza di incovenienti, gli esercenti potrebbero beneficiare in modo significativo dal potere di spesa dei utilizzatori di questo tipo di moneta.

Con i pagamenti cripto si risparmia sulle commissioni

Le transazioni con carte di credito, di debito e prepagate elaborate tramite POS richiedono il pagamento di una commissione e di altri costi aggiuntivi, talvolta fissi (come il canone mensile). Tali spese possono variare in base al volume di vendita, alla tipologia di attività e commercio nonché al tipo di carte che i clienti utilizzano per pagare.

Inoltre, le commissioni sul transato possono essere raccolte in un’unica tariffa fissa oppure frammentate nel più complesso schema dell’Interchange Plus Plus. Indipendentemente dalla struttura tariffaria, in genere le commissioni più basse sono quelle applicate alle carte Bancomat, seguite da Visa e Mastercard. Le carte emesse all’estero richiedono invece una commissione molto più elevata e, infine, American Express applica un proprio schema tariffario.

Messe a confronto con le commissioni esorbitanti utilizzate per alimentare gli argomenti contro i pagamenti cripto, le tariffe POS sembrano irrisorie. Tuttavia, tali argomenti si focalizzano soprattutto su asset leader del settore come Ethereum e Bitcoin (quest’ultimo con un costo medio di 58 dollari per transazione).

Queste, però, non sono le uniche criptomonete che le piccole attività possono accettare. Molte monete alternative, cosiddette altcoins, comportano costi decisamente inferiori per gli esercenti, in genere l’1% (o ancora meno).

Accettare criptomoneta richiede impegno

I sostenitori della moneta virtuale affermano che per gli esercenti gli inconvenienti sono limitati. Eppure, prima di lanciarsi nel mondo delle crypto, esercenti e professionisti devono assumere consapevolezza delle implicazioni che vanno oltre l’aspetto economico.

Ci vuole tempo

Accettare criptovalute nel proprio negozio o nel proprio studio può essere impegnativo dal punto di vista tecnico. C’è molto da imparare per raggiungere un livello di efficienza e sicurezza sufficiente (ad oggi esistono oltre 12.000 valute virtuali), e non tutti hanno il tempo per ricercare, capire e prepararsi mentre si gestisce un’attività commerciale o professionale.

È necessario innanzitutto aprire un wallet digitale su un’apposita piattaforma di scambio per criptomoneta; poi si deve scegliere il gateway di pagamento adatto – da una vasta gamma di opzioni – e lo si deve fare in funzione dell’attività ma anche delle preferenze dei clienti.

Infine, l’irreversibilità delle transazioni cripto può creare inefficienze in caso di richieste di rimborso. L’esercente sarà costretto a tenere traccia di tutti gli acquisti associati ad un pagamento cripto per evitare incrinature nel rapporto con i clienti.

L'assenza di regole sulle criptovalute rende complessa la contabilità

C’è obbligo di dichiarazione, ma è una materia complessa.

Le dichiarazioni fiscali sono più complesse

Problema principale della criptomoneta in ambito fiscale è l’assenza di una norma del legislatore.

È necessario attenersi alle interpretazioni e risoluzioni dell’Agenzia delle Entrate, che considera attualmente le criptovalute come valuta estera avente corso legale. Ne consegue obbligo di dichiarazione nel quadro relativo ad Altre attività estere di natura finanziaria.

Non è inoltre prevista una soglia minima a rendere obbligatoria la dichiarazione, dunque anche piccoli importi devono essere riportati nell’apposito quadro del modello per la dichiarazione fiscale.

Diversa è la posizione della Banca Centrale Europea, secondo cui la criptovaluta non costituisce valuta o moneta con corso legale.

La complessità dell’aspetto fiscale è dunque un ulteriore aspetto da prendere in cosiderazione, materia che peraltro coglie impreparata buona parte degli stessi consulenti fiscali e commercialisti.