No, ditta individuale e lavoratore autonomo (o libero professionista) non sono sinonimi, come spesso si tende a pensare – talvolta anche a causa della documentazione ufficiale rilasciata dall’Agenzia delle Entrate.
Le differenze sono notevoli, nel significato e negli adempimenti da svolgere per avviare l’attività.
Nel presente articolo scopriamo caratteristiche e differenze tra le due figure, i regimi fiscali e gli oneri a loro indirizzati.
Quali sono le differenze tra ditta individuale e lavoratore autonomo?
Le figure di ditta individuale e libero professionista o lavoratore autonomo fanno entrambe riferimento ad una persona fisica che svolge un’attività lavorativa senza vincoli di subordinazione, vale a dire senza datore di lavoro.
La differenza è principalmente nella natura del lavoro svolto:
- Il professionista svolge un’attività di tipo intellettuale
- La ditta individuale svolge attività commerciale o di artigiano
Non si può dunque scegliere a propria discrezione se aprire la partita IVA in qualità di una o dell’altra figura, poiché entrambe presentano chiari requisiti per potervi accedere.
Sono lavoratori autonomi l’avvocato e il medico – ma lo è anche un giornalista freelance, un architetto, uno sviluppatore web, un articolista o un designer che lavora in proprio, in modo autonomo e indipendentemente dal fatto che si serva o meno di collaboratori. Con la diffusione delle professioni digitali, il raggio delle figure professionali che rientrano in questa categoria si è esteso notevolmente.
Sono ditte individuali gli idraulici e i falegnami ma anche parrucchieri, autisti privati e così via.
Oltre alla natura del tipo di lavoro, la differenza tra le due figure emerge anche sul piano burocratico, dove il libero professionista beneficia di procedure semplificate.
La burocrazia è più snella per i professionisti
Dal punto di vista burocratico, avviare un’attività di lavoratore autonomo è molto semplice. È infatti richiesta la sola comunicazione tramite Modello AA9/12 reperibile sul sito dell’Agenzia delle Entrate. Nella stessa pagina si trova il link per accedere all’elenco dei codici ATECO aggiornati all’ultimo anno.
Il codice ATECO serve ad identificare in modo più o meno preciso il tipo di attività economica svolta. L’elenco aggiornato all’ultimo anno si trova sul sito dell’Istat, ma è accessibile anche cliccando sull’apposito link nella sopraindicata pagina dell’Agenzia delle Entrate (AdE).
Sono molte le professioni, soprattutto quelle nate in ambito web, a non trovare una precisa collocazione. In questo caso basterà identificare la categoria di attività e scegliere il codice corrispondente a “Altre attività del settore…”
Il modello AA9/12 ha quattro pagine, ma potrebbe non essere necessario compilarle tutte. Nello stesso documento sono presenti le istruzioni per la compilazione delle singole sezioni.
Può essere presentato in duplice copia direttamente all’AdE (anche da una persona delegata), tramite raccomandata indirizzata ad ufficio territoriale dell’AdE (allegando copia del documento d’identità) oppure presentato per via telematica accedendo con le proprie credenziali SPID al sito dell’AdE (oppure incaricando un consulente fiscale).
Si ha obbligo di presentazione entro 30 giorni dall’inizio dell’attività.
Nel caso in cui si intenda aderire ad un regime fiscale agevolato – ad esempio il forfettario – occorre specificarlo nel Quadro B del modello.
A meno che non si abbia familiarità con questo tipo di dichiarazioni, si consiglia vivamente di rivolgersi ad un commercialista oppure ad un Centro di Assistenza Fiscale (CAF) per evitare errori che potrebbero arrecare fastidi burocratici e talvolta fiscali.
I lavoratori autonomi dovranno poi iscriversi ad un istituto previdenziale.
A seconda dell’attività svolta, l’istituto in questione sarà una cassa professionale (es. Cassa Forense per gli avvocati, Cassa Medici per i medici, INPGI per i giornalisti così via) oppure alla Gestione Separata INPS per tutti coloro non aderenti ad un ordine professionale.
Non sono previsti costi per le due registrazioni.
Le ditte individuali hanno più oneri già in fase di apertura
Una procedura simile a quella per i lavoratori autonomi è prevista per le ditte individuali, che tuttavia avranno qualche adempimento in più da svolgere – oltre a costi da sostenere.
Gli imprenditori individuali dovranno servirsi del modello Comunicazione Unica (ComUnica).
La ComUnica include i seguenti moduli:
- AA9/12 dell’Agenzia delle Entrate
- Iscrizione al Registro delle Imprese
- Iscrizione INPS
- Iscrizione INAIL
- Segnalazione Certificata di Inizio Attività
La ditta individuale dovrà sostenere anche alcuni costi:
- Diritti di segreteria (18 euro)
- Imposta di bollo (17,50 euro)
- Diritto camerale (44 euro all’anno)
Obbligatorie ma non direttamente legate alla procedura di apertura della partita IVA sono le spese per i servizi di firma elettronica e Posta Elettronica Certificata (PEC).
La ComUnica si trasmette solo per via telematica.
I regimi fiscali per imprenditori individuali e professionisti
Fatta eccezione per il diritto camerale da pagare ogni anno, ditte individuali e lavoratori autonomi sono sottoposti alle stesse regole fiscali.
Quali sono i regimi fiscali disponibili?
- Regime forfettario
- Regime semplificato
- Regime ordinario
Regime | Fatturato max. | Tassazione |
---|---|---|
Forfettario | 65.000 € | Flat tax |
Semplificato | Prestazione servizi: 400.000 € Altre attività: 700.000 € |
A scaglioni |
Ordinario | Nessun limite | A scaglioni |
Regime | Fatturato max. | Tassazione |
---|---|---|
Forfettario | 65.000 € | Flat tax |
Semplificato | Prestazione servizi: 400.000 € Altre attività: 700.000 € |
A scaglioni |
Ordinario | Nessun limite | A scaglioni |
Il regime forfetario è indirizzato a professionisti e ditte individuali che hanno fatturato nell’anno precedente non più di 65.000 euro e rappresenta un’enorme vantaggio per chi può accedervi, tuttavia non è possibile scaricare le spese legate all’attività.
Gli altri due regimi sono più complessi sia dal punto di vista burocratico che da quello della tassazione, tuttavia consentono di detrarre e dedurre le spese sostenute, inclusa l’IVA (questa è una delle differenze più significative).
Il regime forfettario
Nel regime agevolato si applica un cosiddetto coefficiente di redditività per stabilire il reddito imponibile, cioè il reddito tassabile.
Ogni categoria ha un proprio coefficiente. Ad esempio, una ditta individuale che pratica commercio ambulante o al dettaglio è soggetta ad un coefficiente di redditività del 40%, dunque pagherà imposte sul 40% del reddito imponibile; le attività professionali, scientifiche e sanitarie sono invece sottoposte ad un coefficiente del 78%, dunque pagheranno imposte sul 78% dell’imponibile.
La tabella completa dei coefficienti di redditività è reperibile sul sito dell’Agenzia delle Entrate.
Perché una simile differenza? Perché si presuppone che un’attività commerciale abbia un carico di spese superiore rispetto a quello sostenuto da un professionista o lavoratore autonomo, di conseguenza si tassa una parte inferiore del reddito.
Dal reddito si sottraggono, prima di calcolare le imposte dovute, i contributi previdenziali obbligatori – o meglio il contributo minimo da pagare ogni anno all’INPS o agli istituti legati al proprio ordine professionale, indipendentemente dal reddito dichiarato.
Aliquota fissa
Abbiamo anticipato che il forfettario si configura con uno schema di tassazione estremamente semplice: si applica infatti una flat tax, cioè un’aliquota fissa (senza scaglioni).
L’aliquota per il regime forfettario è pari al 15% del reddito imponibile, dunque del reddito al netto del contributo pensionistico minimo e in rapporto al coefficiente di redditività.
Se si apre la partita IVA per la prima volta, dunque nel caso in cui non si abbia esperienza precedente di attività professionale o d’impresa, si può beneficiare per i primi 5 anni di una flat tax pari al 5% del reddito imponibile.
Ciò riduce visibilmente le spese rispetto agli altri regimi, ma attenzione: le imposte sul reddito sono in realtà la parte più indolore, poiché i contributi previdenziali incidono molto più delle imposte sulle entrate dell’attività.
I regimi ordinario e semplificato
I regimi ordinario e ordinario semplificato (quest’ultimo noto come “semplificato”) prevedono le stesse aliquote, ma al contempo presentano alcune differenze significative.
La prima differenza è nei requisiti di accesso: come abbiamo visto nella tabella precedente, chi supera un fatturato di 400.000 euro all’anno per attività di prestazione servizi o 700.000 euro all’anno per attività commerciale deve obbligatoriamente aderire al regime ordinario.
Per i professionisti non è previsto alcun limite di fatturato nel regime semplificato, dunque possono sempre accedervi. Le ditte individuali possono invece optare per il regime semplificato solo se non superano i limiti sopraindicati.
I regimi in oggetto non godono di una flat tax, bensì di una tassazione progressiva – cosiddetta a scaglioni – in funzione del fatturato imponibile:
Scaglione | Aliquota |
---|---|
0 – 15.000 € | 23% |
15.001 – 28.000 € | 27% |
28.001 – 55.000 € | 38% |
55.001 – 75.000 € | 41% |
oltre 75.000 € | 43% |
Scaglione | Aliquota |
---|---|
0 – 15.000 € | 23% |
15.001 – 28.000 € | 27% |
28.001 – 55.000 € | 38% |
55.001 – 75.000 € | 41% |
oltre 75.000 € | 43% |
Abbiamo detto che la caratteristica di questi regimi è la tassazione a scaglioni, non si applica un’aliquota fissa come nel forfettario.
Come funziona la progressività? Non si applica una sola aliquota sull’intero reddito, bensì si procede a scaglioni: sulla prima parte (fino a 15.000 euro) pagheremo la prima aliquota, sulla seconda parte la seconda aliquota e così via.
Proviamo con un esempio pratico: una ditta che dichiara 100.000 euro pagherà il 23% sui primi 15.000, il 25% sui successivi 13.000 euro, il 35% sui successivi 22.000 euro e il 43% sui rimanenti.
Il forfettario è più conveniente, ma…
L’aliquota più bassa dei regimi ordinario e semplificato è dunque del 23%, superiore all’aliquota fissa del forfettario (15%).
Non è detto però che il forfettario sia la soluzione migliore per chiunque dichiari un reddito fino a 65.000 euro. Ricordiamo infatti che la flat tax è dovuta al fatto di non poter dedurre le spese né detrarre l’IVA sui beni e sui servizi acquistati.
Se le spese sono elevate e i margini di profitto ridotti, è consigliabile valutare il regime semplificato. Si tratta di una scelta importante da prendere con l’aiuto di un esperto, ad esempio un commercialista.
In ultimo, i soggetti che si avvalgono di questi due regimi saranno tenuti a versare l’IVA nelle casse dell’Agenzia delle Entrate ogni trimestre (se l’anno precedente non hanno superato un volume imponibile di 400.000 euro per prestazioni di servizi o 700.000 per altre attività) oppure ogni mese se invece si è superato il sopraindicato fatturato.
Quali sono le differenze tra ordinario e semplificato?
La principale differenza tra i due regimi è la contabilità tramite:
- Principio di competenza
- Principio di cassa
Il principio di competenza è proprio del regime ordinario. Implica la registrazione di costi e ricavi nello stesso periodo in cui si sono verificate condizioni come consegna di beni, firma di contratti, maturazione di corrispettivi – indipendentemente dal fatto che vi sia stato o meno l’effettivo trasferimento di denaro.
Il principio di cassa spetta invece al regime semplificato e consente la registrazione delle transazioni solo nel momento in cui si incassa o si effettua un pagamento. Il registro IVA per acquisti e vendite è dunque integrato con pagamenti ed incassi.