Ai nostri occhi appaiono come tessere in plastica dalle piccole dimensioni, con uno spessore sufficientemente sviluppato da poter essere maneggiate con tranquillità e senza rischio di danneggiamenti, ma abbastanza sottili da poter scivolare agevolmente in una tasca stretta.
La praticità d’uso è sicuramente un fattore determinante nel design, ma lo è ancor di più il circuito che ospita. Per capire com’è fatta una carta di credito occorre guardare – letteralmente – sotto la superficie.
Gli strati che compongono le carte di pagamento
Le carte di pagamento – di credito, di debito o prepagate – sono pensate per un uso frequente e per questo realizzate con materiali resistenti e poco soggetti all’usura. Non sono indistruttibili ma, del resto, la loro validità oscilla dai 2 ai 5 anni dall’emissione.
La tessera è realizzata in polivinilcloruro (PVC), un materiale oggi comunemente utilizzato nella produzione industriale di oggetti in plastica. Nel caso delle carte di credito vengono utilizzati anche additivi plastificanti per ridurre la rigidità del PVC, così che risultino abbastanza flessibili da non spezzarsi alla minima pressione.
Se da un lato può far fronte ad un uso continuo e reiterato, la carta si rivela meno resistente ad una soluzione comune come l’acetone, in grado di ammorbidirla fino a permettere la separazione dei diversi strati.
La banda magnetica
La banda magnetica (magstripe), posizionata sul retro della carta, è il primo elemento a scollarsi – con una certa rapidità – sotto l’azione dell’acetone. Afferrando l’estremità sollevata sui bordi si rimuove senza fatica.
Foto: Mobile Transaction
La striscia magnetica è particolarmente esposta a danneggiamenti, anche nel normale uso quotidiano.
A proposito della magstripe, oggi è considerata una componente obsoleta, il cui uso nel campo dei pagamenti elettronici ha avuto inizio negli anni ’60: una rivoluzione tecnologica che di fatto ha aperto la strada ai moderni sistemi per l’elaborazione di transazioni digitali, ma che oggi ha poco da offrire.
Può ospitare una piccola quantità di dati statici, quindi facili da recuperare (e clonare). Gli Stati Uniti rimangono uno dei pochi paesi al mondo a mantenere ancora in vita una tecnologia via via abbandonata anche dai produttori di terminali di pagamento.
Gli strati esterni
Gli strati esterni sono costituiti da pellicole di plastica molto sottili, come si può osservare dalle immagini.
Foto: Mobile Transaction
Nonostante la delaminazione, la pellicola esterna mantiene intatti tutti gli elementi grafici serigrafati.
Sulla pellicola che compone il fronte della carta sono rimasti illesi i dettagli che la arricchiscono: decorazioni, logo del circuito, logo del prodotto, logo della tecnologia contactless, nome del titolare, data di scadenza e numero della carta.
La rimozione di questo strato fa emergere poi le lettere M e C, non visibili allo stato originale.
Foto: Mobile Transaction
Anche la lamina esterna posteriore mantiene tutti gli elementi grafici intatti, incluso il codice di sicurezza (poi eliminato con un editor grafico per la pubblicazione dell’articolo).
L’unico elemento completamente dissolto dall’acetone è la firma del titolare, scomparsa senza lasciare alcun segno.
Foto: Mobile Transaction
La rimozione della lamina posteriore non coinvolge l’ologramma che certifica l’autenticità.
L’ologramma non ha ceduto alla rimozione dello strato esterno ed è rimasto perfettamente incollato alla tessera.
Foto: Mobile Transaction
Ologramma MasterCard.
MasterCard è stata la prima società ad introdurre, negli anni ’80, un ologramma al laser.
La sua presenza rende più problematica la riproduzione illecita della carta fisica. Sulle carte originali MasterCard, inclinando la tessera si distinguono in modo chiaro i dettagli impressi al laser.
Le pellicole di plastica rimangono ad oggi l’unico metodo per aggiungere la banda magnetica alle carte di pagamento. Per questo motivo, anche sul retro delle carte in metallo è presente una pellicola in plastica – anche nella Apple Card realizzata prevalentemente in titanio.
Gli strati interni
Gli strati interni sono più spessi; per rimuoverli (con un po’ di fatica) devono restare in ammollo nell’acetone per un tempo più lungo rispetto a quello richiesto dalle lamine esterne.
Al tatto risultano gommosi e molto resistenti; del resto devono proteggere le componenti davvero essenziali della carta: il chip e l’antenna contactless.
Foto: Mobile Transaction
Chip e antenna contactless sono incollati tra due strati particolarmente resistenti.
Come si può osservare, l’antenna contactless è formata da sottili filamenti di rame che partono dal chip, ruotano nella metà superiore della carta per poi fare ritorno al punto di partenza. Nel suo insieme, questa struttura è conosciuta come Integrated Circuit Card (ICC), carta con circuito integrato.
Foto: Mobile Transaction
Sottili fili di rame costituiscono l’antenna della carta contactless.
L’estensione dell’antenna sulla una superficie della carta è necessaria per aumentare la reattività nella comunicazione dei dati con il terminale POS. In alcune carte i filamenti di rame ruotano lungo i bordi dell’intera tessera.
Ancora una volta, anche le carte in metallo sono costrette a ricorrere a materiale plastico per l’integrazione della tecnologia contactless.
Come funziona il pagamento contactless?
Incastrato tra le diverse lamine in plastica o in metallo, il chip che emerge fino all’esterno è di fatto il cervello della carta di credito o bancomat che dir si voglia. È in sostanza una memoria, all’interno della quale sono conservati tutti i dati relativi alla stessa carta, al conto associato nonché al suo titolare.
Il medesimo sistema è utilizzato in tutte le smart card contactless, ad esempio le tessere per il trasporto pubblico, i badge di accesso e identificazione e perfino i tag anti-taccheggio utilizzati nei negozi per proteggere la merce da eventuali furti.
Abbiamo detto, dunque, che il circuito è formato sostanzialmente da un chip e da un’antenna, mentre non vi è alcuna traccia di una batteria, vale a dire di una fonte di energia.
La carta si serve dell’energia emessa dal terminale.
Come può un circuito elettronico funzionare senza energia elettrica? Prendendola “in prestito” da un dispositivo che invece ne è dotato: il POS (con batteria integrata o alimentato direttamente da una rete elettrica tramite cavo).
Quando si attiva la funzione di lettura del terminale di pagamento – in termini pratici, quando si digita l’importo e si preme il tasto di conferma – il dispositivo inizia ad emettere energia attraverso onde radio.
L’antenna della carta assorbe l’energia e la trasmette al chip, che automaticamente rilascia i dati in esso conservati; tali dati vengono trasmessi dall’antenna contactless sulla medesima radiofrequenza usata dal POS (13,56 MHz).
Tale processo prende il nome di RFID (Radio Frequency Identification).
La radiofrequenza 13,56 MHz
Indipendentemente dal tipo di carta e terminale, la trasmissione dei dati per il pagamento contactless si verifica sempre ad una radiofrequenza di 13,56 MHz, in conformità dell’ISO/IEC 14443.
ISO/IEC 14443 è uno standard definito congiuntamente dall’Organizzazione internazionale per la normazione (ISO) e dalla Commissione Elettrotecnica Internazionale (IEC). Stabilisce i criteri tecnici da rispettare nella produzione e programmazione dei dispositivi elettronici di pagamento.
Il terminale riceve i dati e – tramite un cosiddetto gateway di pagamento – li invia alla società che ha emesso la carta. Quest’ultima concede l’autorizzazione alla transazione – o la rifiuta, ad esempio quando il titolare della carta ha superato il plafond o non dispone di liquidità sul conto corrente.
Tutto ciò avviene in pochi istanti: il tempo di avvicinare la tessera al lettore.